Emergenza educativa: intervento del card. Sepe

Quali priorità per l’emergenza educativa?   versione testuale
Suor Orsola Benincasa: la presentazione del Rapporto-Proposta curato dal Comitato per il progetto culturale della Cei

«La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo e nello stesso tempo per il bene delle società, delle quali l’uomo è membro e nelle quali, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere».
Questa bella citazione è ripresa dalla Dichiarazione conciliare sull’educazione cristiana, Gravissimus educationis, approvata il
28 ottobre 1965 dai Padri del Concilio ecumenico Vaticano II. Grazie anche a questo documento, la tradizionale attenzione della Chiesa cattolica all’educazione in generale e all’educazione cristiana in particolare è diventata un’esigenza di rinnovamento della Chiesa intera, richiamando l’attenzione di ogni fedele e di ogni persona di buona volontà sull’«estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo» e sulla «sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo».Negli anni postconciliari, la Chiesa ha continuato a sottolineare la necessità di ritornare sistematicamente a riflettere sui fini, sui metodi, sui contenuti, sui responsabili dell’educazione. Anche Benedetto XVI si è fatto interprete della grave crisi pedagogica e sociale che sta frattanto attraversando particolarmente l’Italia in questi ultimi anni. Infatti, già durante il
Convegno della Diocesi di Roma nel 2007, il Papa osservò che «si parla di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola, sia la famiglia e, si può dire, ogni altro organismo
che si prefigge scopi educativi».
Queste parole richiamano l’attenzione, ancora una volta, sulla priorità che i cristiani sono tenuti a dare all’ambito educativo, chiamati come sono a testimoniare al mondo e per il mondo la Verità che è Gesù Cristo. Bisogna, purtroppo, riconoscere che gli agenti attualmente interessati all’azione educativa non sempre condividono scopi, finalità, obiettivi propri della dottrina pedagogica cristiana. Ecco perché il compito di educare diventa oggi “coraggio di educare”, nel senso che il modo di rapportarsi alle nuove generazioni deve ritornare ad essere propositivo, dialogico, valoriale. Non è possibile, in altri
termini, voler educare senza proporre il tema della Verità dell’essere umano e della dignità della persona che merita impegno e progettualità per essere accompagnata verso un’età matura e consapevole. I nostri giovani sono spesso disorientati poiché non hanno modelli di vita credibili da parte degli adulti. Non emerge più quella domanda che riguarda il perché del nostro stare al mondo e interroga circa il senso del vivere e sul fine ultimo dell’esistenza. Probabilmente ciò accade perché la nostra società – come ha sostenuto qualche studioso – è orfana della figura paterna e se, nel frattempo piange la “morte dei padri”,
sta pericolosamente accompagnando lentamente verso “l’ultima dimora” anche le madri, che purtroppo riescono sempre meno ad essere le uniche responsabili della crescita umana, sociale, professionale dei figli generati. Vi sono, purtroppo, contesti particolarmente fragili che giustificano l’immobilismo della famiglia e di altri soggetti educativi, la disperazione,
l’isolamento. E spesso anche nelle nostre realtà meridionali, laddove antichi valori tendono comunque a resistere, tale prospettiva sembra diventare perfino utopia. Educare diventa un’impresa impossibile. In alcuni quartieri di Napoli occorrerebbero nuovi presidi educativi, testimoniando a chi si crede immobile, disperato, isolato che è ancora possibile
ri-alzare la testa e provare a camminare con le proprie gambe e, soprattutto, con i propri ideali di umanità e di dignità.
Urge una mobilitazione sociale, culturale e, per quanto ci riguarda come Chiesa, anche pastorale, per far fronte a quest’emergenza, che deve diventare per noi ordinaria sfida e quindi programmazione, pianificazione, organizzazione. Tuttavia, non basta contrastare i casi singoli. Contrastare, per esempio, i fenomeni di bullismo, dentro e fuori le aule scolastiche, esclusivamente e prevalentemente combattendo i gesti violenti, significa eludere la vera soluzione del problema, che evidentemente chiede interventi sinergici di medio e lungo periodo da parte delle diverse agenzie educative, sia per prevenire, ma anche per comprendere le motivazioni che portano talvolta i giovani – e non solo – a ricorrere a gesti di gratuita, immotivata, efferata violenza. L’educazione deve poter intervenire per migliorare comportamenti,
atteggiamenti, abitudini, ri-orientando l’agire delle persone verso altri fini. Proprio nella certezza di ri-motivare le nuove generazioni al rispetto delle regole, all’amore per i valori veri della vita, qualche anno fa ho invitato i giovani a riporre le armi, a rimettere ai piedi degli altari nelle chiese di Napoli qualunque strumento o arma che potesse colpire, ledere, eliminare un altro o essere di minaccia al bene comune. Il degrado, purtroppo, è talvolta così incancrenito che perfino la vita umana è ritenuta, in alcuni ambienti, superflua. Frattanto, le nostre famiglie si sono abituate purtroppo a delegare il compito formativo alla sola istituzione scolastica che, da sola, non può essere la panacea dei problemi che affliggono oggi l’azione di educazione
e di formazione delle giovani generazioni. Spesso anzi sono proprio i nuclei familiari che non riescono a gestire le situazioni e perdono di vista la propria titolarità educativa originaria, a volte eclissando il vero fine dell’educazione, a vantaggio di  prmissivismo, sregolatezza, isolamento sotto il nome di autostima, indipendenza, autonomia. Spesso nelle famiglie diventa sempre più raro l’incontro tra volti; difficilmente, guardandosi negli occhi, padri e madri, padri e figli, padri, madri e figli
dialogano, discutono, progettano, scelgono, orientano il futuro. Lo smarrimento dei ruoli ha comportato l’indisponibilità dei genitori ad essere testimoni di vita, ad indicare sentieri, a presentare regole, mentre nei figli si palesa sempre di più intolleranza all’ascolto, disinteresse ai valori, rifiuto della realtà e conseguente rifugio nel virtuale. Ma i giovani comunque
attendono, non sfuggono, chiedono di essere aiutati, ma spesso  gli adulti non rispondono, non propongono, non testimoniano, non si ri-appropriano del proprio compito e, di conseguenza, non indirizzano e non controllano lo stesso sistema educativo scolastico. Gli adulti, soprattutto se genitori o adulti con compiti formativi ed educativi, devono saper nuovamente riprendere il ruolo che a loro spetta. La responsabilità educativa ricomincia da noi adulti, con la necessaria riscoperta del nostro ruolo genitoriale. Se si vuole realmente rispondere alla sfida educativa, ogni componente
della nostra società deve perciò ripensare al proprio ruolo. Le soluzioni alla grave emergenza educativa non potranno
essere pertinenza esclusiva delle responsabilità dello Stato e dei suoi organi istituzionali. Nella nostra società, profondamente
interessata sia dai processi di secolarizzazione come da etiche relativiste o, in campo religioso, dall’indifferenza, occorre
qualificare e formare coloro che esercitano in concreto l’azione educativa della  comunità credente. I cristiani infatti sono,
più degli altri, chiamati a costruire un mondo migliore, quello annunciato da Cristo e posto nelle mani dei credenti, veri testimoni di pace e di vita. Scopo essenziale dell’educazione, anche cristianamente intesa, è precisamente «la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità». È in questo senso che bisogna combattere gli eccessi proposti oggi sia dal modello permissivo che da quello autoritario, perché dal punto di vista pedagogico occorre saper manifestare e motivare non soltanto gli orientamenti positivi, ma anche i divieti imposti che aiutano a crescere e, se ben motivati ed argomentati nel dialogo educativo, non producono frustrazione.
Se si vogliono responsabilizzare i giovani, bisogna concedere loro la possibilità di entrare in dialogo con gli adulti, anche con i loro “no” perché essi comprendano, accettino, condividano, scelgano argomentatamente. Resta, pertanto, indispensabile riferimento in campo educativo la famiglia eterosessuale, stabile e feconda, poiché in essa è possibile apprendere gli elementi essenziali, fondamentali dell’esistenza. Il “fenomeno della pluralizzazione” delle figure parentali e della cosiddette famiglie allargate, però, ha non poco inciso sulle dinamiche educative, come sulla fisionomia stessa del “nucleo familiare tradizionale”, snaturandone l’identità e modificandone anche il senso. La famiglia, al contrario, deve ritornare ad essere il luogo dove figure adulte e realizzate, vincolate dall’amore fecondo e dalla relazione gratuita, testimoniano e insegnano
il valore della sobrietà, dell’affetto maturo, della sessualità responsabilmente esercitata, della fecondità non soltanto biologica, della condivisione e della relazione. In questo senso, la famiglia si ri-appropria del compito educativo, nel senso che essa attiva una catena di mutamenti educativi, oggi da rivitalizzare per proporre un progetto di vita che si caratterizzi per opzioni di vita libere e responsabili. L’emergenza educativa, dunque, è anche correlata alla crisi che vivono gli adulti nel testimoniare e nell’insegnare i valori fondamentali della vita o nell’indicare alle nuove generazioni l’importanza della scelta di un progetto di vita da costruire giorno per giorno. Ovviamente gli adulti sono chiamati anche a modificare l’attuale realtà di debolezza etica,
formativa, sociale, dal momento che l’emergenza educativa è un allarme ben più ampio che richiede un’analisi più attenta e profonda. Uno degli aspetti che deve essere tenuto in considerazione concerne l’impegno, l’educazione e la formazione alla cittadinanza ed a condotte sociali corrette. In questo senso, anche la scuola è chiamata a dare un suo contributo specifico, ovvero a indirizzare gli sforzi organizzativi, metodologici e didattici intorno ai valori fondamentali che riguardano la sfera antropologica, etica e culturale. La crisi valoriale si manifesta concretamente nella “debolezza etica”, che spesso si traduce in indifferenza. Per evitare che i giovani si astengano dall’impegno sociale e gli adulti si sottraggano alle responsabilità, occorre incoraggiare un’educazione alla cittadinanza attiva, per superare il nichilismo comportamentale e morale che si manifesta in modo esplicito nel disimpegno sociale. Superare il disimpegno, l’indifferenza e il relativismo anche in campo sociale significa responsabilizzare e sensibilizzare giovani e adulti all’impegno attivo per la comunità, per la Città, per la nostra Città. Quest’impegno non può riguardare solo le autorità istituzionali, ma riguarda tutti i cittadini, i quali dovrebbero in prima persona, anche sollecitati dalle istituzioni parrocchiali – veri e propri presidi educativi sul territorio- attivarsi per una “solidarietà sociale giornaliera”. La situazione della nostra società impone una riflessione sinergica che ovviamente deve contare sul contributo di più specialisti e deve coinvolgere tutte le componenti. La comunità cristiana si sente chiamata direttamente in causa e offre la propria collaborazione per uscire dal vortice della debolezza educativa. Attraverso le parrocchie, i movimenti, gli insegnanti, le famiglie propone un modello credibile di responsabilità educativa. Ma è soprattutto sulla famiglia che bisogna puntare perché
essa è il luogo privilegiato di socializzazione e di testimonianza. È qui che si apprende e si concretizza la bellezza del progetto di vita.
@ Crescenzio Card. Sepe
Arcivescovo Metropolita di Napoli

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