8 Maggio, Festa della Madonna di Pompei, a tre anni dal ritorno al Padre di Giovanni Riccio e di p. Francesco Botta SJ

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L’8 Maggio del 2008, nella Festa della Madonna del Rosario, Giovanni Riccio, Vice-Presidente della nostra Cvx, e p. Francesco Botta SJ, già Assistente Nazionale della Cvx italiana, venivano accolti dall’abbraccio del Padre. La malattia li strappò solo fisicamente al nostro affetto e alla nostra fraternità.

Domenica 8 Maggio 2011, ricorderemo Giovanni nella Messa delle 11,30 al Gesù Nuovo, insieme al fratello Gianluca, anch’Egli prematuramente scomparso. Ci uniremo alla Sua famiglia e in Comunione per pregare quel Gesù da lui amato, cantato, servito. “Gesù, l’amico”..

Giuliana, la Moglie, e i suoi Figli, invitano quanti hanno la possibilità di partecipare all’Eucarestia, a venire un po’ prima nella sala adiacente alla Sacrestia, alle 11,00, per prepararsi insieme alla Messa.

Chi desidera approfondire alcuni tratti della vita di Giovanni, può andare alla “pagina di Giovanni” nella rubrica “Spriitualità” del nostro sito. Qui di seguito il link.

Vai alla pagina di Giovanni 


P. Francesco Botta SJ, è stato per lunghi anni Assistente Nazionale della CVX italiana, nel cammino post-conciliare. E’ stato qui a Napoli per molti anni responsabile del Seminario di Posillipo. Ha avuto incarichi di governo nella Compagnia di Gesù, anche in Albania, per poi approdare come Rettore all’Istituto Massimo di Roma che lo ricorderà domenica 8 Maggio con una Messa alle ore 19,15. Nei gli ultimi anni della Sua vita ha vissuto anche forti esperienze missionarie, in particolare nei confronti dei bambini rumeni di Sighet, accolti nelle case-famiglia del Progetto “Quadrifoglio” della Lega Missionaria Studenti e di p. Massimo Nevola SJ (nella foto col piccolo Ciprian).

Riportiamo l’omelia del suo grande amico e confratello p. Enrico Deidda SJ, in occasione dei funerali a Roma, l’11 Maggio del 2008. Ne tratteggia la Vita come solo un amico può fare.

A Giovanni e a Chicco il nostro grazie per aver camminato insieme e per essere in comunione spirituale, certi che dal Cielo assistono le loro famiglie e le loro comunità, la Cvx e la Lms, i copii di Sighet e quanti, incontrati nel nostro andare verso, sono volto di Cristo sofferente. Di quel Gesù nella cui Luce di Resurrezione ora vivono. Con Maria, sua Madre, che festeggiamo in questo giorno e alla quale è dedicato il mese di Maggio.

Pasquale Salvio

 

11 maggio 2008    Festa di Pentecoste

Chiesa dell’Istituto Massimo in Roma

Omelia di p. Enrico Deidda SJ

Siamo qui per pregare e ricordare un uomo come tanti, un uomo che, come tanti, ha terminato la sua vita terrena.

Quest’uomo, però, Padre Francesco Botta, era anche una persona “speciale”.

Il fatto che siamo qui così numerosi, venuti anche da città e luoghi molto lontani,  e con il cuore così profondamente ferito per il distacco da lui, è il segno che Padre Chicco ha avuto davvero quel dono, proprio dello Spirito e della giornata di Pentecoste, di parlare tante lingue diverse per arrivare all’incontro profondo con ciascuno, ha parlato ai cuori, ha parlato la lingua universale dell’amore.

Tutti sentivamo di avere in lui un punto di riferimento: era per noi “una luce vicina”, secondo la definizione che Benedetto XVI ha utilizzato nell’Enciclica sulla Speranza.

 

C’è chi tra noi avverte di aver smarrito un amico affettuoso, chi un fratello o un consigliere sapiente, chi un padre, chi un consolatore; tutti certamente abbiamo sempre trovato in lui una fonte di speranza e di coraggio. Aveva la capacità rara di donare insieme forza e tenerezza.

Io credo che la morte dica la verità sull’uomo molto di più dei successi o delle sconfitte o delle attività che ne hanno contrassegnato gli anni.

Dall’agosto scorso, da quando gli fu diagnosticato questo male, Chicco, intelligente e coraggioso com’era, aveva piena consapevolezza di ciò che lo aspettava: “sei mesi, massimo un anno”, mi aveva confidato. Ma di pari passo con tale coscienza crescevano in lui la serenità e la forza che lo hanno accompagnato in modo straordinario fino alla fine.

I suoi ultimi giorni sono stati illuminati e misteriosamente scanditi dalla liturgia, come se lo Spirito volesse far percorrere insieme, a Chicco e a noi, quella “via dolorosa”, ma alleviandola con una più profonda comprensione di quanto stavamo vivendo con tanta faticosa sofferenza.

Mi hanno davvero colpito tre coincidenze.

Negli ultimi giorni della sua vita la liturgia ci ha presentato, nelle pagine degli Atti degli Apostoli, l’addio di Paolo agli anziani di Efeso, che è considerato il suo testamento spirituale (cap. 20). Spiccano in quelle parole la generosità assoluta dell’Apostolo, la sua disponibilità senza riserve con l’insistenza sull’espressione  “non mi sono sottratto”:

“Sapete che non mi sono sottratto a ciò che poteva esservi utile … a credere nel Signore nostro, Gesù” (20, 20)

“Non mi sono sottratto al compito di annunciarvi tutta la volontà di Dio” (20, 27)

a ancora:

“Notte e giorno non ho cessato di esortare”  (20, 31)

Una dedizione prodiga, affettuosa, senza pause.

Ancora un particolare significativo. Il Signore ha chiamato Chicco a sé l’8 maggio, giorno dedicato alla Madonna del Rosario. Nel cielo, nell’orizzonte della sua vita il fuoco che generava energia era acceso dal Signore Gesù e dalla Madre Sua e nostra, costantemente al centro del suo cuore.

La terza occorrenza: l’ultimo addio avviene nella festa di Pentecoste. E l’infusione dello Spirito di amore, di coraggio, di vita, che apre alla capacità di parlare le lingue, di raggiungere i cuori e di generarvi nuova speranza, credo che possa ridire con più profonda persuasività che Padre Chicco ha vissuto la sua esistenza e ha vissuto la sua morte da uomo della Pentecoste.

Uomo della Pentecoste, ma anche uomo di festa.

Gli piaceva l’allegria, gli piaceva cantare e ricordava canzoni di ogni genere, era un maestro dell’umorismo … Soprattutto gli piaceva incontrare le persone: accoglienza e cordialità nascevano pronte e spontanee dal suo cuore e dal suo sorriso; amava essere circondato dalla gente e, centro naturale di ogni gruppo,  si ritraeva volentieri per imporre all’attenzione gli altri.

Lui, temperamento brillante ed estroverso, io riservato e un po’ timido: era sempre delicatamente fermo nel mettermi in condizione di accettare interventi e compiti che mi mettevano in vista (e che avrei volentieri evitato!). Spronava sempre perché si crescesse nel coraggio di esporsi, nella fiducia in se stessi. A volte, stando con lui, si aveva l’impressione di sentir riecheggiare le parole: .

C’è una parola di Giovanni Paolo II che mi pare abbia avuto un riflesso luminoso nelle azioni di Padre Chicco: “La bellezza è invito a gustare la vita e a sognare il futuro”. Proprio l’entusiasmo per la vita, per tutto ciò che è bello, i mille progetti, i sogni grandi, l’instancabile creatività sono stati una costante della sua esistenza! In fondo il suo desiderio e il suo impegno di ogni giorno lo aveva espresso quando, nel momento dell’ultimo addio a Rita, una giovane tornata troppo presto alla Casa del Padre, aveva affermato di lei che “aggiungeva vita alla vita degli altri”. Senza rendersene conto, parlava di se stesso.

Un uomo coraggioso che sapeva accettare le sfide.

Generosità, esuberanza, cuore grande lo proiettavano spesso verso le frontiere e, quando si è in frontiera, non sempre è facile calcolare e misurare i rischi. Padre Chicco ne era consapevole, ma non si tirava mai indietro, anzi per temperamento era attratto dalle sfide, se, affrontandole, pensava di essere sostegno ai fratelli, dovunque essi si trovassero e chiunque essi fossero.

Così, ad esempio, accettò di buon grado la destinazione in Albania, nel momento difficile che seguì la caduta del regime; e, quando, alla fine degli anni ’90, scoppiò nel paese la grave crisi che lo portò sull’orlo della guerra civile, sebbene fosse trascorso un solo anno dal suo richiamo a Roma come Superiore dei Gesuiti del Centro-Italia, chiese e ottenne di ritornarvi, adoperandosi per lenire sofferenze e scongiurare situazioni estreme di disperazione e di violenza.

Soprattutto al centro del suo cuore e delle sue cure portava i bambini: dopo l’Albania, anche in Romania. La condizione dei bimbi abbandonati che vivevano nelle fogne di Bucarest gli era parsa una vergogna per l’umanità e se ne era fatto carico immediatamente.

Solo quindici giorni fa, ormai esausto, ha voluto andare a vedere i “suoi” piccoli delle case di Sighet. La sua debolezza era tale che, per permettergli di partire, i medici gli avevano fatto, il giorno precedente, una trasfusione di sangue e aveva dovuto raggiungere l’aereo su una sedia a rotelle. Un viaggio temerario, secondo molti che glielo avevano sconsigliato, ma era difficile fermare la volontà di Chicco: non si può amare calcolando tutto. Quando si ama si è sempre un po’ spreconi!

Forse è proprio questo uno dei segni più luminosi e profondi che Chicco ci ha lasciato.

Grazie, Chicco!

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