A proposito di una lettera aperta inviata a Papa Bergoglio

Circola da alcuni giorni su internet una lettera aperta a Papa Bergoglio, dal titolo “Lettera a Papa Francesco: noi abbiamo bisogno di un Papa pronto al martirio per salvare i cristiani perseguitati nel mondo, non dedito alla ricerca della popolarità persino tra i tifosi del calcio”. L’autrice è la scrittrice Silvana De Mari.

In essa, senza aver la pretesa di volergli insegnare il mestiere, l’autrice invita Papa Francesco a recarsi in quelle nazioni africane ed asiatiche dove i cristiani sono perseguitati ed uccisi, le loro chiese distrutte ed incendiate, disponibile al martirio, dedito a convertire, come già aveva fatto san Pietro con i romani, e non alla ricerca di una popolarità di bassa lega, tra tifosi e giocatori di calcio, mentre la cristianità, come il Titanic, rischia di naufragare sull’iceberg costituito dall’Islam.

Non ho la presunzione di rispondere al posto di Papa Bergoglio, non ne ha bisogno, ma credo che mi si possa concedere la facoltà di fare alcune riflessioni, tra i tanti commenti scatenatisi sui vari blog negli ultimi otto giorni, da quando la lettera è stata pubblicata. Salvando la buona fede dell’autrice, nonché l’aspirazione ad una guida spirituale forte, ben radicata nella fede in Cristo e pronta al martirio, sono del parere che molte affermazioni vadano vagliate per trattenere solo il meglio e rifiutare ciò che è negativo e, soprattutto, non veritiero ed ingiusto.

Intanto più che un Papa, mi sembra che si desideri un carismatico comandante di crociata, di una crociata contro l’Islam, considerato il male in assoluto. Vengono citati Ratzinger e il suo discorso di Ratisbona, che fu equivocato in un passaggio, precisato successivamente dallo stesso Papa emerito che affermò di non condividere la frase incriminata, riportando il confronto in un’ottica di dialogo interreligioso fondato sulla tolleranza e sul rispetto reciproco. Non crediamo forse nell’unico Dio di Abramo, nostro padre nella fede?

Ciò che va condannato, a mio parere, è il fondamentalismo islamico come quello cattolico, il fondamentalismo di qualsiasi altra fede o ideologia, quello che distrugge ogni possibilità di confronto, di dialogo, di preghiera comune, di amore per la persona. Il fondamentalismo che brucia le chiese e qualsiasi luogo di culto; e soprattutto il fondamentalismo che uccide l’uomo, vero tempio di Dio.

Mi si deve spiegare perché è sacrilego per un cattolico, per un Papa, inchinarsi dinanzi alla spiritualità del Ramadan? Non sono fedeli che digiunano per dedicarsi alla propria purificazione e all’amore per Dio? Anche l’affermazione che Cristo non si è inchinato davanti a nessuno risulta singolare: Cristo durante la lavanda dei piedi si inginocchiò davanti ai suoi discepoli, segno del servizio, nell’amore, a cui siamo chiamati.

E veniamo all’affermazione di convertire al cristianesimo. Né un Papa, né alcun cristiano può convertire a Cristo: è Cristo stesso che converte tutti noi. Il nostro compito è solo di testimoniarlo, di testimoniarne l’amore, di annunziarne la buona notizia, che è quella di un Dio Padre che ci ama e che dandoci suo Figlio per nostro fratello ci inserisce nell’armonia e nell’unità della Trinità.

Papa Francesco sta facendo questo?  In un’Omelia, durante l’ultima GMG, il Papa, rivolto ai Vescovi presenti, ha affermato che siamo chiamati a promuovere la cultura dell’incontro: “Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Lasciatemi dire, che dovremmo essere quasi ossessivi in questo senso. Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”. Ciò che ci guida è l’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla” (27 luglio 2013, Rio de Janeiro).

Ancora nell’Angelus di domenica scorsa, 18 agosto, il Papa afferma: “Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti”. Un messaggio chiaro, mi sembra, non da “piacione” che vuol conquistarsi le simpatie di tutti, come si afferma nella lettera.

Il fatto che il Papa parli, durante un viaggio in aeroplano, ai giornalisti, non è una novità di Francesco, ma l’avevano già fatto Wojtyla  e Ratzinger. Come anche peregrina è l’affermazione che il Papa si dedichi alle partite di calcio.

Riguardo all’invito ad andare in Egitto, in Siria, in Pakistan, credo che la fattibilità di un tale viaggio dipenda da un contesto decisionale più vasto, fatto in spirito di discernimento: non si può a cuor leggero mettere a repentaglio la vita di altri che sono chiamati a tutelarti. Del resto operare per la pace non sempre è perseguibile andando semplicisticamente sui luoghi di guerra. Anche san Francesco d’Assisi ai suoi tempi (1219) si recò in Egitto durante una crociata per predicare Cristo al Sultano e, sebbene tale viaggio venga ancora oggi interpretato in vario modo, i risultati non furono entusiasmanti tanto che il Poverello decise di tornare in Italia. Dante, a tal proposito, nel canto XI del Paradiso scrive : E poi che, per la sete del martiro, / ne la presenza del Soldan superba / predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro, /e per trovare a conversione acerba / troppo la gente e per non stare indarno, / redissi al frutto de l’italica erba. Dunque il desiderio di martirio non bastò a san Francesco né per essere martirizzato né per ottenere conversioni. Ciò ci riporta a quanto prima ho affermato: né santi né papi convertono, ma solo Cristo. Comunque martirio significa testimoniare e sono molti i modi della testimonianza. E che Papa Francesco non abbia avuto paura di mettere a repentaglio la propria vita, ne abbiamo avuto prova in alcuni momenti del viaggio in Brasile.

Ed, infine, una parola riguardo agli orpelli papali, di cui nella lettera si sente tanto la mancanza. Nessuno ha dedicato un po’ d’attenzione ai pastorali di Papa Francesco, mi sembra. Immediatamente a ridosso dell’elezione, Francesco usò il pastorale di Papa Benedetto, la ferula, simile a quella di Pio IX: solenne, ricordava i pastorali trionfali dei Papi del Rinascimento. Era la continuità con la Chiesa di Ratzinger, quel Ratzinger che aveva teorizzato proprio l’ermeneutica della continuità, tra l’altro riportando in auge tanti simboli sacri della tradizione (p.e. il camauro, la mozzetta). Poi Bergoglio cominciò ad usare il pastorale argentato con il Crocifisso stilizzato di Paolo VI, utilizzato anche da Giovanni Paolo II, emblema di una Chiesa conciliare, che aveva ricondotto l’annunzio all’essenzialità evangelica. Poi, a Lampedusa, si è avvalso di un pastorale in legno, il legno ricavato da uno dei barconi dei migranti, per testimoniare una Chiesa vicina agli ultimi, ai diseredati, a quanti avevano dovuto lasciare la propria patria, come Gesù Bambino perseguitato da Erode.

Sull’affermazione che Bergoglio non abbia mai proclamato l’amore di Dio, o non abbia mai fatto cenno a quanto sta avvenendo in Egitto, invito a rileggersi le sue omelie e discorsi pubblicati sul sito vatican.va .

Tutto ciò facendo salvo il concetto che siamo tutti perfettibili, sulla strada della santificazione ancor lunga da percorrere, fragili nella nostra fedeltà all’amore di Dio, dal Papa all’ultimo credente.

Salvatore Caso

22 agosto 2013

 

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